venerdì 4 dicembre 2009

Liam Gabriele McCarty fugge con sua madre

Venerdì 04 Dicembre 2009 di MARIDA LOMBARDO PIJOLA
ROMA – Sogni, progetti, futuro, niente più. E gli occhi di Leo che la guardano con l’aspettativa integrale dei bambini, e quel ditino che lui le punta addosso: «Non è che mi consegni, mamma? Restiamo sempre insieme, vero? Giura!». Leone, otto anni, è convinto che l’uomo nero sia alle porte, per portarlo via. Un po’ ha paura, «però non tantissimo: mi salva la mia mamma». E’ questo il mestiere delle mamme, no? Perciò nascondersi ancora, come ladri. Due settimane. La vita sospesa. Niente scuola. Soldi finiti. «Poveri ma insieme», ride Leo. Quanto può durare? E’ disperata, Manuela, ma sorride, dissimula, annuisce. Al parco, per vedere un’amica, i due fuggiaschi braccati dopo un decreto che dispone il collocamento di Leo in casa famiglia senza rapporti con la madre, (effetto di una feroce contesa col padre americano), divagano nell’ordinario gioco delle parti. Fammi giocare a biliardino, (ora vediamo), e giurami che a casa mi lasci al Nintendo (prima i compiti), e voglio i biscotti, il succo, la pizzetta, (non esagerare, ti fa male), e guarda il cane, se avremo una casa me lo prendi?
Due sguardi simmetrici si frugano, le labbra virano in un sorriso speculare. Sogni. Sintonie. Una casa, «io e mamma e basta – spiega Leo all’amica – e non c’entrano mio padre, gli assistenti sociali, i giudici, i carabinieri, e tutti quelli che promettono e poi non fanno niente, e vogliono farmi vedere “quello” anche se io piango fortissimo, e gli racconto le cose che mi ha fatto non mi credono, e dicono che era un brutto sogno. A me mi hanno stufato tutti, sai? Io voglio vivere normale con mia mamma, che vado a scuola mia, e vedo gli amici, e sto tranquillo, e nessuno mi prende per portarmi via. Io non sono un pacco». Un torrente. Radioso. Sorriso permanente. Il cronista lo guarda senza mai parlargli, è troppo piccolo per le interviste, e poi manca il permesso del tutore. Eccoli qua, i fuggiaschi, due gocce d’acqua, il sole che fa sbrilluccicare due chiome ricciolute d’oro e quattro pupille di cristallo, chiare come le idee di Leo: «Hanno scritto “rapito”, ma che sono matti? Questa qui è la mia mamma. Le ho chiesto di salvarmi, sennò mi portavano via. Un po’ severa, mia mamma, però neanche tanto. Adesso, per esempio, non mi vuol prendere “Star Wars” per via dei pugni, anche se è della Lego, figurati. Però mi fa un sacco di coccole. Sai che le coccole, se te le danno da piccolo, poi da grande le ridai?». Infatti: le salta sulle ginocchia, le braccia attorno al collo, le sussurra qualcosa, ride, corre via. Sembra sereno, miracolato da un’energia interiore che seleziona i dati, scartando il terrore come un brutto gioco inventato dai cattivi.
Chissà cos’ha capito, Leo, dell’incubo che intrappola la sua vita da quattro anni. Accusa il suo papà di abusi sessuali. Lui accusa la madre di manipolarlo. Nel dubbio, a entrambi viene sospesa la patria potestà. Leo in casa famiglia. Periti e magistrati divisi sulla sua attendibilità. Infine il padre prosciolto, il bimbo dai nonni materni. Incontri protetti con suo padre. Lui lo respinge, urlando. Attraverso la sua psicologa, chiede con un disegnino di vedere i magistrati, per spiegare perché non vuol vederlo. Quando se lo trova davanti a sorpresa in un’aula di Tribunale, viene travolto dal pianto dalla rabbia dal terrore. I magistrati dispongono che interrompa ogni rapporto con sua madre: sospettano che sia lei a condizionarlo. E allora casa famiglia, nuovamente. «C’è stato cinque mesi. Com’era ridotto…». Leo la interrompe: «Zitta, racconto io». Guarda l’amica di famiglia: «Sai che non mi facevano andare alle feste di scuola mia, e neanche più Aikido? Poi c’erano dei ragazzi grandi che mi davano i pugni e i calci e uno mi diceva ti apro col coltello, e mi hanno chiuso in una fogna che io urlavo e piangevo e per scappare mi sono tutto graffiato. E poi certe altre cose brutte..insomma.. Ma tanto mia mamma non mi ci fa andare questa volta. Vero?». Lei lotta con le lacrime, guardando il cielo. «Abbiamo aspettato per tre giorni che venissero a prenderlo. Mi sono presentata due volte dai carabinieri. Ho detto prendetelo, se è giusto, eccolo qui. Mi hanno detto di tornarmene a casa. Intanto Leo era atterrito, non mangiava, piangeva, si chiudeva a chiave, mi implorava portami via, scappiamo». E infine lei lo ha fatto. E ora si aggira come una nomade tra mille posti, mille dubbi, mille paure. «Non pensa che sarebbe giusto consegnarlo?». «Come faccio, ne morirebbe, si sentirebbe tradito anche da me».
Un bimbo strattonato tra sua madre e la legge. Luigi Cancrini, neuropsichiatra, direttore del Centro aiuto al bimbo maltrattato del Comune, che ha in cura Leo da due anni, è allarmatissimo. «Ha con sua madre un rapporto profondissimo, strapparlo a lei con un provvedimento così brutale lo distruggerebbe. Ho appena espresso tutta la mia preoccupazione in una lettera al presidente del Tribunale per i Minori». Leo è sull’orlo di un baratro. Bisogna ricucire la trama slabbrata del suo sistema di certezze, della sua fiducia negli adulti. «Ora mi fido di mamma e dei miei amici. Gaia no. Mi ha detto che con me non ci gioca perché non ho un papà. Ho detto che mia mamma vale per due. Per cento. Non come gli altri grandi, che vogliono separare i bambini dalle madri. Sembrano scemi, certe volte». Incrocia lo sguardo di sua madre. «Va beeene, scemi no. Cretini. Ok?».

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