martedì 27 maggio 2008

Pedofilia: condanne di 21 anni alla "banda degli orchi" del Salento

Una scure pesantissima sulla testa della presunta “banda degli orchi”. I giudici della prima sezione penale del Tribunale di Lecce, (presidente Silvio Piccino, a latere Sergio Tosi e fabrizio Malagnino), dopo una travagliata camera di consiglio protrattasi fino a tarda sera, hanno inflitto pene esemplari per il padre, la madre ed un loro amico accusati di aver violentato, fatto prostituire con dieci conoscenti e percosse, le proprie figlie di nove e dieci anni per otto lunghi anni, in un paesino del Sud Salento. Il padre el’amico di famiglia sono stati condannati al massimo della pena per i reati contestati dalla pubblica accusa: 21 anni a testa. Diciotto invece alla madre. Ha resistito l’impianto accusatorio del pm Maria Cristina Rizzo che, nella sua dura requisitoria, si era fermata a 40 anni di carcere. I giudici invece hanno alzato la quota, interpretando la materia giuridica con una lettura rigida. Sono state pattuite anche le cifre sulle provvisionali destinate alle tre figlie, 70, 50 e 20 mila euro, difese dal legale Viola Messa. Affidate legalmente all’avvocato Anna Grazia Maraschio, sono ancora oggi sottoposte ad un programma di recupero. I titoli di reato rimangono gli stessi. Il padre risponde di violenza sessuale, favoreggiamento alla prostituzione e maltrattamenti in famiglia. La madre di omissione colposa: non avrebbe impedito o quantomeno cercato di impedire che le figlie diventassero “merce di scambio” e che venissero continuamente violentate dal marito. Ventuno anni anche all’amico di famiglia. Ha retto l’accusa di violenza sessuale. Le indagini dei carabinieri della compagnia di Cesarano fecero emergere come per un certo periodo l’uomo fosse stato l’amante della madre, abusando delle ragazzine con il consenso del padre. I militari della compagnia sud salentina, il 21 settembre 2006, alzarono il velo su una storia raccapricciante che sconvolse una piccola comunità del Salento Sud Occidentale. Un padre di famiglia non avrebbe avuto alcuna titubanza nel vendere il corpo delle sue figliolette per racimolare soldi per comprare bevande alcoliche e sigarette e per pagare i debiti di gioco e convincere in tal modo i creditori a finirla con i pestaggi nei suoi confronti. I legali degli imputati, D’Ippolito e Garza, hanno fatto sapere di coler trascinare il processo in Appello. Abbiamo voluto sottacere luoghi e nomi della squallida vicenda per una libera scelta. Nel nostro piccolo, in questo modo, cerchiamo di tutelare la privacy degli imputati accusati di reati pesantissimi e preservare l’anonimato di giovanissimi che a 16 e 17 anni devono faticosamente costruirsi un futuro e reintegrarsi, senza strascichi, nella vita civile. Francesco Oliva (lecceprima.it) 26.maggio.2008

Nessun commento: